Differenze di magazzino: la gestione contabile

Le differenze inventariali, e cioè le discordanze tra la quantità di merci rilevata contabilmente e quella effettivamente presente nel magazzino, possono originarsi da una molteplicità di cause, anche di natura fisiologica.

Ad esempio:
− cali fisici o di lavorazione delle merci;
− erroneo utilizzo da parte dell’operatore dei codici identificativi del carico/scarico di merci;
− furti;
− distruzioni accidentali.

Al verificarsi di queste circostanze, ci ricorda l’ultima nota diffusa dallo studio commerciale di Cagliari, Cadau&Associati,  il valore del magazzino rilevato in contabilità generale potrebbe non essere aggiornato e questa differenza potrebbe essere più o meno rilevante ai fini della corretta rappresentazione del valore della posta patrimoniale.

Per questo motivo, la contabilità di magazzino risulta uno strumento più affidabile della contabilità generale, permettendo una rappresentazione puntuale delle giacenze.

Differenze di magazzino Aldo Cadau Studio Commerciale Cadau&Associati Cagliari

 

Occorre evidenziare che le eventuali differenze quantitative derivanti dal raffronto tra le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino e le consistenze effettive delle rimanenze potrebbero ricadere tra le presunzioni di cessioni e di acquisto, così come previsto dall’articolo 4, comma 2, D.P.R. 441/1997.

Più nel dettaglio inoltre. 

Ai sensi dell’articolo 14, comma 1, lettera d), D.P.R. 600/1973, nelle scritture di magazzino devono essere registrate le quantità entrate e uscite:
− delle merci destinate alla vendita;
− dei semilavorati, se distintamente classificati in inventario, esclusi i prodotti in corso di lavorazione;
− dei prodotti finiti;
− delle materie prime e degli altri beni destinati a essere in essi fisicamente incorporati;
− degli imballaggi utilizzati per il confezionamento dei singoli prodotti;
− delle materie prime tipicamente consumate nella fase produttiva dei servizi, nonché delle materie prime e degli altri beni incorporati durante la lavorazione dei beni del committente.

Oltre alle variazioni tra le consistenze effettive dei beni esistenti in magazzino, nelle scritture possono essere annotati, anche alla fine del periodo d’imposta, i cali e le altre variazioni di quantità che determinano scostamenti tra le giacenze fisiche effettive e quelle desumibili dalle scritture di carico e scarico.

Una particolare disposizione è prevista per le attività di:

– cessione di beni effettuate da commercianti al minuto autorizzati in locali aperti al pubblico, in spacci interni, mediante apparecchi di distribuzione automatica, per corrispondenza, a domicilio o in forma ambulante di cui all’articolo 22, comma 1, n. 1, D.P.R. 633/1972;


– prestazioni alberghiere e somministrazioni di alimenti e bevande effettuate dai pubblici esercizi, nelle mense aziendali o mediante apparecchi di distribuzione automatica, di cui all’articolo 22, comma 1, n. 2, D.P.R. 633/1972; per queste la norma dispone che le registrazioni siano effettuate solo per i movimenti di carico e scarico dei magazzini interni centralizzati che forniscono 2 o più negozi o altri punti di vendita.

Le aziende della grande distribuzione, pertanto, non sono obbligate alla tenuta della contabilità di magazzino per il deposito dei singoli punti vendita che non fungono da “magazzini interni centralizzati”, anche se comunemente utilizzano, per finalità gestionali, scritture interne denominate “schede conto consegnatario”, tuttavia non assimilabili, dal punto di vista della valenza fiscale, alle scritture di magazzino.


Studio Commerciale Cadau%Associati Aldo Cadau Cagliari



L’operatività delle presunzioni di acquisto e di cessione dei beni nella prassi

L’articolo 1, comma 1, D.P.R. 441/1997, contiene una presunzione di cessione dei beni acquistati, importati o prodotti che, al momento del controllo, non si trovano nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni o in quelli dei suoi rappresentanti.

La ratio della norma è evidentemente quella di contrastare fenomeni di cessioni di beni in evasione delle imposte, c.d. “vendite in nero”.

L’articolo 3, D.P.R. 441/1997 definisce, invece, la presunzione di acquisto integrata quando il contribuente non dimostra che i beni che si trovano in uno dei luoghi in cui esso svolge le proprie operazioni sono stati ricevuti in base a un rapporto di rappresentanza.

Nel 2006, a seguito di condotte abusive della sopracitata disposizione a opera degli organi verificatori, l’Agenzia delle entrate ha ritenuto necessario chiarire la corretta interpretazione di queste disposizioni normative, attraverso l’emanazione della circolare n. 31/E/2006.

Nell’occasione è stato ribadito che il presupposto oggettivo per l’applicazione della presunzione consiste nella dimostrazione dell’Amministrazione, in sede di accertamento, dell’ammanco dei beni a seguito della conta fisica ovvero delle differenze quantitative a seguito del confronto tra le rimanenze registrate contabilmente e le scritture obbligatorie di magazzino (o altra documentazione obbligatoria).

Le indicazioni fornite con la circolare n. 31/E/2006, pur risalendo al 2006, sono tuttora utilizzate anche dai funzionari della GdF, tant’è che il contenuto della circolare è stato riproposto nella più recente circolare GdF n. 1/2018.