Conviene rivalutare i beni d’impresa nel 2020?

Per quanto riguarda la valutazione dei beni di impresa la congettura del 2020 impone alcune riflessioni necessarie da fare.
Oltre che rivalutare i beni infatti è possibile anche procedere all’Affrancamento dei disallineamenti.

Un esempio: disallineamenti da operazioni straordinarie o da rivalutazioni non rilevanti fiscalmente come quella sugli immobili prevista dal D.L. n. 185/2008.

Il riallineamento opererà con la stessa imposta sostitutiva del 3% e la stessa decorrenza temporale della rivalutazione (2021 per ammortamenti; 2024 per le cessioni).

Il riallineamento richiede che venga vincolata una apposita riserva (prelevata da quelle già esistenti) a cui si applica il regime di sospensione di imposta.

In caso di incapienza o di assenza di riserve è possibile rendere indisponibile una quota del capitale sociale, in quanto l’imputazione a capitale della riserva non fa venir meno la sospensione d’imposta.

A differenza della rivalutazione, il riallineamento deve essere effettuato per l’intero differenziale esistente tra valore civile e valore fiscale (non è cioè consentito un riallineamento intermedio).


Inoltre, è consentito avvalersene anche solo per taluni beni senza dunque il rispetto del vincolo delle categorie omogenee.








Che si tratti di una rivalutazione di particolare appeal lo si evince dai seguenti elementi:


  1. la possibilità di attribuire alla stessa rilevanza solo ai fini civilistici;
  2. la misura assai ridotta (rispetto a quella prevista dai provvedimenti che si sono succeduti nel corso degli ultimi anni) dell’imposta sostitutiva per poter dare riconoscimento fiscale ai maggiori valori iscritti in bilancio (3% contro il 10-12%);
  3. la deduzione immediata dei maggiori ammortamenti, già a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in cui la rivalutazione è stata effettuata ossia già dall’esercizio 2021 (modello Redditi 2022).

In termini operativi

Nel caso in cui si decida di rivalutare un bene per un importo di 2.000 euro, l’impresa – a fronte di un costo di 60 euro (da pagare a giugno 2021-2022-2023 con rate di 20 euro ciascuna) – otterrebbe un risparmio d’imposta del 27,9% (IRES 24% + IRAP 3,9%) con un risparmio netto effettivo di 558 euro.

Andando a verificare gli effetti che la rivalutazione determinerebbe ai fini della deduzione di maggiori quote di ammortamento – ipotizzando in cinque anni il piano di ammortamento del maggior valore attribuito al bene rivalutato – si avrebbero minori imposte per 111,6 euro (558/5) nei versamenti del 2022, 2023, 2024, 2025 e 2026 contro i 20 euro versati nel 2021-2022-2023.

Saldo attivo di rivalutazione

Infine, qualche cenno va fatto con riferimento al saldo attivo risultante dalle rivalutazioni eseguite che deve essere imputato al capitale o accantonato in una speciale riserva designata, con esclusione di ogni diversa utilizzazione.

Sulla base dell’art. 13 della legge n. 342/2000 – espressamente richiamato dal decreto Agosto – il saldo attivo di rivalutazione non può essere utilizzato e “la riserva, ove non venga imputata al capitale, può essere ridotta soltanto con l’osservanza delle disposizioni dei commi secondo e terzo dell’art. 2445 del Codice civile“.

Ai fini fiscali, inoltre, il saldo attivo costituisce una “riserva in sospensione di imposta” tassato, ai sensi dell’art. 13, legge n. 342/2000, in caso di distribuzione ai soci.

Il saldo attivo di rivalutazione può essere affrancato, in tutto o in parte, mediante l’applicazione in capo alla società di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP nella misura del 10%.

Il saldo attivo di rivalutazione – qualora affrancato – è liberamente distribuibile ai soci e non concorre, pertanto, a formare il reddito imponibile della società che ha effettuato la distribuzione. Poiché le riserve di rivalutazione, una volta affrancate, confluiscono tra le riserve di utili, in caso di distribuzione, il socio deve assoggettare a tassazione l’importo percepito secondo le regole ordinariamente previste per la tassazione dei dividendi.