Inventario Sintetico del Magazzino: Accertamento Induttivo.

 


Dallo studio commerciale di Cagliari Cadau&Associati
Coordinatore – il dottor commercialista Aldo Cadau.

 

 

Per definizione, l’inventario delle rimanenze di magazzino deve indicare la consistenza dei beni raggruppati in categorie omogenee per natura e valore e il valore attribuito a ciascun gruppo. Dove dall’inventario non si rilevino gli elementi che costituiscono ciascun gruppo e la loro ubicazione, devono essere tenute a disposizione dell’Ufficio delle imposte le distinte che sono servite per la compilazione dell’inventario. In assenza delle “categorie omogenee”, come ricorda la specifica redatta dal commercialista Aldo Cadau, l’Agenzia delle entrate è legittimata ad adottare l’accertamento induttivo.
Numerose società di capitali, società di persone ed imprese individuali iscrivono nel “libro degli inventari” solamente il valore complessivo delle rimanenze.
Nel caso delle S.p.A. e delle S.r.l. – ad esempio – nel libro degli inventari sono esposti gli stessi “valori riassuntivi” (o sintetici) iscritti nella voce C I – Rimanenze dell’attivo dello stato patrimoniale:
– Materie prime, sussidiarie e di consumo
– Prodotti in corso di lavorazione e semilavorati
– Lavori in corso su ordinazione
– Prodotti finiti e merci

 

 

 

La suddivisione del “valore complessivo” del magazzino nelle suddette quattro sottovoci – ricorda lo Studio Cadau&Associati – non vuol dire rappresentare nel “libro inventari” le “categorie omogenee” del magazzino, come sono descritte nell’art. 15 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600: “L’inventario, oltre agli elementi prescritti dal Codice civile o da leggi speciali, deve indicare la consistenza dei beni raggruppati in categorie omogenee per natura e valore e il valore attribuito a ciascun gruppo.
Dove dall’inventario non si rilevino gli elementi che costituiscono ciascun gruppo e la loro ubicazione, devono essere tenute a disposizione dell’Ufficio delle imposte le distinte che sono servite per la compilazione dell’inventario” cosiddette Distinte Inventariali.
L’inventario delle rimanenze di prodotti finiti deve indicare le consistenze dei beni raggruppati in categorie omogenee per natura e valore ed il valore attribuito a ciascun gruppo e non solamente il valore complessivo dei prodotti finiti.

 

 

L’art. 15 del D.P.R. n. 600/1973 consente di iscrivere nel libro degli inventari il valore complessivo delle rimanenze di prodotti finiti (euro 150.210), ma in tal caso la società deve tenere a disposizione dell’Ufficio delle imposte le distinte che sono servite per la compilazione dell’inventario.
Per Giurisprudenza costante, la Corte di cassazione sostiene che l’inventario di magazzino senza l’esposizione delle categorie omogenee legittima l’accertamento induttivo ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 600/1973. Secondo la Corte di cassazione, e` proprio l’incompletezza della documentazione contabile che rende non attendibili le scritture ed autorizza l’accertamento induttivo normalmente supportato da percentuali di ricarica del settore di appartenenza (studi di settore).

La mancanza o la non attendibilità delle scritture contabili autorizza l’Ufficio ad adoperare presunzioni supersemplici, cioè anche prive dei requisiti della gravità, precisione e concordanza.
Le rimanenze di magazzino rappresentano i beni destinati alla vendita o che concorrono alla loro produzione nella normale attività della società.

 


Le principali tipologie di rimanenze di magazzino sono:

– le materie prime, ivi compresi i beni acquistati soggetti ad ulteriori processi di trasformazione (es.: semilavorati di acquisto);
– le materie sussidiarie e di consumo (costituite da materiali usati indirettamente nella produzione);
– i prodotti in corso di lavorazione (materiali, parti e insiemi in fase di avanzamento);
– i semilavorati (parti finite di produzione interna destinate ad essere utilizzate in un successivo processo produttivo);
– le merci (beni acquistati per la rivendita senza subire rilevanti trasformazioni);
– i prodotti finiti (prodotti di propria fabbricazione).

Gli “articoli di cancelleria” non sono compresi tra gli elementi delle rimanenze di magazzino.
Il metodo generale per determinare il valore dei beni in rimanenza e` il costo specifico che presuppone l’individuazione e l’attribuzione alle singole unita` fisiche dei costi specificamente sostenuti per le unita` medesime. Tale criterio è solitamente applicato per i beni non fungibili, ovverosia che non possono essere sostituite le une alle altre, ma sono specificatamente individuate e individuabili.
In alternativa, per le rimanenze di beni che possono essere compresi all’interno di un genere con le stesse caratteristiche e possono essere facilmente sostitute le une alle altre per identica utilità, l’art. 2426, n. 10, Codice civile prevede che “Il costo dei beni fungibili può essere calcolato col metodo della media ponderata o con quelli ‘primo entrato, primo uscito’; o ‘ultimo entrato, primo uscito’. Se il valore così ottenuto differisce in misura apprezzabile dai costi correnti alla chiusura dell’esercizio, la differenza deve essere indicata, per categoria di beni, nella nota integrativa”.
Nel caso dei beni fungibili il legislatore ammette dunque l’utilizzo di metodi di determinazione del costo alter nativi al costo specifico, stante l’impossibilita` tecnica o amministrativa di mantenere distinta ogni unita` fisica in rimanenza.

Pertanto, è possibile per i beni fungibili, in alternativa al costo specifico, utilizzare uno dei seguenti metodi di calcolo del costo:

Primo entrato, primo uscito, detto anche FIFO (First-In, First Out: gli acquisti o le produzioni più remoti sono i primi venduti). Secondo questo metodo si assume che le quantità acquistate o prodotte in epoca più remota siano le prime ad essere vendute od utilizzate in produzione; per cui restano in magazzino le quantità relative agli acquisti o alle produzioni più recenti.

Costo medio ponderato.
Secondo tale metodo si assume che il costo di ciascun bene in rimanenza sia pari alla media ponderata del costo degli analoghi beni presenti in magazzino all’inizio dell’esercizio e del costo degli analoghi beni acquistati o prodotti durante l’esercizio: in sostanza per il calcolo della media ponderata rilevano le rimanenze iniziali ed i beni acquistati o prodotti nell’esercizio. Le vendite sono scaricate dal magazzino al costo medio ponderato preso a riferimento per il calcolo.

Ultimo entrato, primo uscito, detto anche LIFO (Last-In, First Out: gli acquisti o le produzioni più recenti sono i primi venduti).
Questo  metodo assume che le quantità  acquistate o prodotte piu` recentemente siano le prime ad essere vendute od utilizzate in produzione; per cui restano in magazzino le quantita` relative agli acquisti o alle produzioni più remote.

 

 

Metodo dei costi standard
I costi standard sono costi determinati in anticipo rispetto alla produzione tramite l’uso di specifiche tecniche, elenchi materiali, ore normali di lavoro, in condizioni normali o predeterminate di utilizzo della capacita` produttiva degli impianti.
I costi standard possono essere usati nella valutazione del magazzino solo se rappresentativi dei costi effettivamente sostenuti.
I costi standard sono aggiornati periodicamente per riflettere cambiamenti sia nei prezzi che
nelle condizioni di costo, quali ad esempio i mutamenti dei processi e dell’efficienza.
Gli scostamenti tra i costi standard e i costi effettivi che si originano da inefficienza di produzione, costi anomali, scioperi, impianti inattivi ecc., costituiscono elementi negativi del reddito dell’esercizio in cui si verificano e non sono quindi considerati nella valutazione del magazzino.

Il calcolo delle rimanenze “a tappo”
La consuetudine di calcolare il valore complessivo delle rimanenze “a tappo” e` ancora vigente, nonostante che sia trascorso mezzo secolo dall’entrata in vigore riforma tributaria (anno 1973).
La determinazione “a tappo” del valore delle rimanenze consiste nel definire l’utile o la perdita d’esercizio e, successivamente, viene calcolato il valore complessivo delle rimanenze per ottenere il definito utile/perdita, indipendentemente dall’effettivo valore complessivo delle medesime rimanenze.
In questo caso, conclude la Nota del commercialista Aldo Cadau, nel libro degli inventari viene indicato un valore complessivo, senza suddividere le rimanenze per “categorie omogenee”.